“Credo di non sapere cosa fare per stare bene”, è la frase che mi sono ripetuta non appena mi è saltata in mente, così, all’improvviso, mentre giravo in macchina come una scema alla ricerca di uno stimolo, di una luce che mi parlasse, ed è spuntata lei. É un concetto semplice e limpido, chiaro per intendersi, sembra una cosuccia da nulla eppure racchiude un mondo di cose. Quando tu sai cosa fare per allungare la gamba oltre i momenti bui, in un certo senso hai fatto bingo… mi spiego meglio, quelle volte in cui non hai voglia di fare qualcosa, ma sai anche che facendola, dopo, starai meglio, e allora inizi piano piano, ti lasci trascinare da quella forza interiore, senza pensare, ti lasci assopire da questa volontà, e spesso, mentre stai facendo ciò per cui non ti saresti alzato, arriva, come un venticello caldo primaverile, una sorta di brio che ti rimette in carreggiata e tu a quel punto, ti daresti il cinque da solo. É una bella sensazione, sotto sotto sai che sei stato tu a sapere cosa fosse meglio per te. Eppure, di questi tempi, io non faccio che girarmi e rigirarmi nel letto della mia mente, metaforicamente parlando, sento di essermi persa, non so più qual è la mia direzione. Ogni volta che si va in un posto di mare figo, ci sono quei cartelli tutti colorati con le frecce che puntano ovunque, ognuna indica un luogo diverso, un luogo nascosto da scoprire. Io sono davanti al cartello dalle “cento” frecce, e mentre gli altri ragazzi intorno a me scelgono il posto verso cui partire, io rimango là, davanti a quell’agglomerato di direzioni. Guardo ogni destinazione, lentamente, gli scruto uno per uno con la speranza di arrivare in fondo e caspita, ne troverò almeno uno che mi attira. Arrivo all’ultimo e sento che neanche questo mi convince…eccheccaz. Riprovo a guardare meglio le scritte sulle frecce, ma è come se la mia mini-me si fosse impuntata di non farsene andar bene uno. Puoi immaginare che a forza di rileggere le scritte mi senta come dopo aver fatto qualche giro ai calci in culo della fiera. Sono un po’ frastornata e decido di sedermi sulla panchina a lato della strada, magari distaccandomi un po’ da quei cartelli riesco a prendere una decisione, e penso… i ragazzi intorno a me non sanno che luogo gli aspetta… anche se l’avranno visto su internet, dal vivo è tutta un’altra cosa, insomma, la certezza di cosa troveranno non ce l’hanno, però ci vanno lo stesso, quindi sanno già che lì staranno bene, ipotesi ottimistica, anche se ci sono volte in cui non va bene, tu parti col piede giusto, se poi ti si rompono le infradito… quello può succedere. Loro ci vanno comunque, perché ci vedono del bene laggiù. Sono così temerari, mentre io… tutte le direzioni mi sembrano belle e brutte allo stesso tempo, così penso a ciò che mi fa stare bene, ma nessuna di queste direzioni mi parla, e mi chiedo: che cosa significa sapere cosa fare per stare bene? Cosa vede un ragazzo al di là della scritta sulla freccia, un po’ rosicchiata dal vento… c’è forse un piccolo veggente sulla spalla che gli predice che là starà bene? Insomma, il discorso s’intreccia, s’ingarbuglia, la mente in confusione, non c’è pace quando non sai cosa fare per stare bene, o almeno, non c’è pace finché non ci provi, con la consapevolezza che qualcosa devi fare, altrimenti apriti sarcofago, e inizi a fare il qualcosa che senti più vicino a te, piano, vuoto, speranzoso, le emozioni di speranza si mischiano a quelle che vorrebbero che tu non facessi niente, e lentamente, ti accorgi di aver creato qualcosa. Un’ora passata in macchina sotto lo scroscio della pioggia, in un posto qualsiasi, a scrivere…
Credo di non sapere cosa fare per stare bene
