Avete presente quella nostalgia di un tempo passato che non può tornare ad essere? Arriva come un venticello tiepido il venerdì pomeriggio, quando le aziende chiudono e i dipendenti si preparano a spendere il fine settimana che tanto bramavano e che pare rincorrere un entusiasmo meraviglioso, le genti là fuori, immagino andranno a fare aperitivi con amici lontani, vedranno i parenti e organizzeranno cene in famiglia, alcuni si prenderanno la briga di vestirsi bene e mettere un piede in discoteca, altri conosceranno potenziali ragazzi/e al pub mentre sorseggiano birra e parlano di esperienze scanzonate, si ride, si scherza, il fine settimana è il momento delle uscite, di chi si rilassa a casa con l’amore o di chi si concede un momento per sé. Io non l’aspetto, ma arriva sempre. E si porta dietro momenti di malinconia e tristezza estiva, come se i tempi ormai caldi lasciassero il posto all’inverno preannunciando un nuovo anno che volge al termine. E la mia testa fa capriole all’indietro, sale quel sentimento e mi chiedo: “Ma perché io devo suonare questa melodia dalle note inquiete e che protesa verso un avvenimento mi fa stare col cuore in gola?”. Ah quanti tasti la mia me ha dovuto toccare prima di raggiungere quello dolente, sembra una farfalla che si posa noncurante sul petalo di un fiore, se ne leva e ne sceglie un altro, lasciando il fiore incredulo a non poter sorreggere una tale bellezza, privato di una parte della natura che lo rende ancor più brillante al sole e bello di fronte agli amici fiori. E così mi sento come un fiore a cui è stato privato il tocco della farfalla, incompleta e ansimante, triste e paziente, aggettivi che ne descrivono bene l’emozione ma non altrettanto la ragione.
Il fine settimana è un drammatico cocktail amaro mandato giù con noncuranza, arriva e sai che lo berrai fino all’ultimo goccio, ti lecchi gli angoli delle labbra e aspetti che faccia effetto.